Oggi voglio raccontarvi un fatto personale.

Qualche giorno fa io e Marco  eravamo in montagna a fare una camminata, in una delle zone più incredibili d’Italia (secondo me). Davanti a noi, maestosa, si ergeva la cima principale della zona e la più elevata degli Appennini.  Emozione incredibile, sono 15 anni che sognavo di essere qui.

Decidiamo di tornare dopo qualche giorno, la zona è talmente bella da meritare un approfondimento.

Un pensiero: tentiamo l’ascesa. Valutiamo tutto quello che riusciamo a trovare in rete. I dubbi sono le nostre capacità tecniche, l’allenamento (soprattutto di Marco, fermo da tempo) e il senso di vertigine in agguato per i passaggi più esposti.

In breve, descrizione ufficiale a parte, i commenti sono disparati. Tutti concordano sulla bellezza del luogo, ma sulla difficoltà… molto SOGGETTIVO.

Esposto, non esposto, facile, impegnativo, faticoso…. A seconda dell’esperienza e dell’allenamento la percezione è differente.

E noi? Come ci poniamo in tutto questo? Il tratto su sfasciumi sarà faticoso ma siamo in grado di farlo, ma la parte successiva? Quanto è alpinistica? Quanto facile (per noi che siamo a livello Escursioni Esperti)? E soprattutto, quanto esposta?

La decisione è presto presa: l’obiettivo non è la cima ma VERIFICARE IL NOSTRO LIMITE. E possibilmente andare oltre. Arriviamo fino dove ce la facciamo, senza vincoli.

Per me questa è una decisione importante: anche se sono un po’ fuori allenamento, in passato ho avuto varie esperienze escursionistiche /alpinistiche e i miei obiettivi erano la meta e il tempo. SE non era alla mia portata non lo facevo e basta, non consideravo in partenza l’idea di non arrivare in cima (anche se, ovviamente, è accaduto un sacco di volte). Ormai il tempo, grazie anche a 15 kg in più, è un fattore che non considero più, a totale beneficio dell’emozione data dalla  bellezza e unicità dei paesaggi, e iniziare un’escursione senza avere come obiettivo la cima per me è una novità . E mi piace!

Arriviamo alla partenza, e già i nostri occhi sono spalancati sulla meraviglia della piana nella luce del mattino. Partenza ripida,  traversone a destra fino al primo colle superato il quale inizia la parte rilassante su sentiero erboso quasi piano, che continua con il traversone di sfasciumi e il pendio si fa più ripido. Lo vedevamo qualche giorno fa, e pensavamo “Pensa essere là! “. Ultima salita finale, qualche appoggio da cercare con la mano e siamo al colle. Ecco , dice Marco, questo era la mia meta, con l’allenamento che ho. Tutto il resto è GIOIA”. Una breve sosta e riprendiamo a camminare. L’elicottero che girava in zona ha recuperato la ragazza caduta dalla cresta (pare si sia solo rotta un braccio). Saliamo, ansimando, tra sfasciumi faticosi ma stabili fino alla conca successiva, nostra seconda meta. Il sole a picco sulle nostre teste scalda la pelle e raffredda un po’ gli animi. Il punto in cui ci fermiamo è molto panoramico ma l’esposizione al limite di quello che le nostre menti sono in grado di tollerare. Mi rendo conto che mi guardo intorno con gli occhi della paura barcollo ma se penso di essere stabile e al sicuro sono tranquilla. Decidiamo il da farsi. La pendenza sale ancora tra gli sfasciumi fino a un tratto ripido dove inizia la roccia, per poi piegare a destra lungo la prima parte della cresta. Guardiamo ancora più su, c’è un sacco di gente che sale e abbastanza che scende. Qualcuno è arrivato in cima, altri no. Arrivati alla fine della cresta, probabilmente in vista del ghiacciaio, vediamo escursionisti abbassarsi sotto il ciglio della cresta e continuare fino alla cima.

Che si fa?

Marco , forte fumatore che soffre di vertigini, è andato oltre i suoi limiti. Io un po’ in dubbio, sia sulla competenza tecnica sia sull’esposizione. Decidiamo di separarci. Marco si ferma e io proseguo fino a dove arrivo. Supero il pendio in salita , vedo tante ragazze che si tengono alla roccia impressionate dall’esposizione del tratto. Iniziano le roccette, e inizio a mettere le mani. 15 kg in più da portare in giro sulle rocce non sono pochi, e mi rendo conto che sto salendo di testa. C’è gente che scende, tanta, e io aggiro sulla destra la traccia. Mi chiedo come sto facendo, non ho paura di perdere l’appiglio e non pensavo nemmeno di avere tutta ‘sta flessibilità. Non mi fermo a pensare, penso solo al passo successivo. Che se mi guardo intorno, e mi rendo conto di essere aggrappata ad una roccia con tutto il vuoto intorno mi viene un attacco di panico. Roccia, mano, piede, il corpo si ricorda qualcosa di già fatto in passato. Dove ho imparato questo movimento?  Cosa mi ricorda? Forse quando i bambini erano piccoli e andavamo a fare sperimentare loro la roccia dietro la nostra baita in montagna? Forse un’escursione più difficile di quanto ricordassi? Chissà.

Finisce la cresta, arrivo all’affaccio sul ghiacciaio. Sono a 100 m dalla vetta, manca la cresta finale. Che panorama mozzafiato!! Oddio che baratri intorno! Guardo. La traccia piega a destra sotto il filo di vetta. Praticamente nel vuoto. Troppo vuoto, stavolta. Tecnicamente alla mia portata, ma troppo vuoto. Mi siedo. Adesso si, la gita per me si conclude qui. A 100 m dalla vetta. Una volta lo avrei definito un insuccesso. Ora celebro il mio successo, sono arrivata fino a qui e non era per nulla scontato. Gratitudine e gioia infinita. Sono 100 m sotto la cima della Vetta Occidentale del Corno Grande del Gran Sasso. Che sogno pazzesco!!!  Scendo dalla via di salita, il tanto vuoto che mi aveva accompagnata in salita si fa sentire di più e procedo con cautela. Incontro Marco che aveva deciso di oltrepassare i propri limiti e salire ancora un po’, all’attacco della cresta. Oltre gli sfasciumi e dopo aver già affrontato le roccette iniziali. Tanta roba, per lui. Felice e soddisfatto per il risultato raggiunto.

Siamo raggianti. Stanchi ma raggianti. Quello che per i tanti corridori che abbiamo incontrato era banale per noi non lo è stato. Siamo andati oltre i nostri limiti, fisici e mentali.

Lo stesso vale nella quotidianità… quello che per un altro è banale per me è un successo. E quello che per me è banale per un altro non lo è. Abbiamo imparato che il confronto serve solo quando dà la carica (si puo’ fare), e il vero confronto l’abbiamo con noi stessi. Ed è quello principale. Andare oltre i propri limiti (la propria zona di comfort) e così si cresce!

Con amore, Valeria


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